Domani e per sempre

Ermal Meta racconta i dolori e la rinascita dell’Albania

Il 19 maggio scorso è uscito Domani e per sempre, il primo romanzo di Ermal Meta, edito da La nave di Teseo. Eravamo abituati a pensarlo come interprete e autore di canzoni di successo, sia per se stesso che per gli altri. Polistrumentista, lo abbiamo sempre visto suonare la chitarra e il pianoforte. Questa volta, ha voluto fare un passo in più. Sentiva una sorta di debito nei confronti della terra dove è nato e cresciuto fino ai 13 anni, quel Paese così tanto vicino a noi ma che forse non conosciamo abbastanza. Ermal vuole raccontare la storia della sua Albania dagli ultimi anni della Seconda guerra mondiale fino al Novanta, quando gli albanesi hanno iniziato a tirare i primi sospiri di sollievo. Impresa ambiziosa, lui lo sa bene: impiega circa un anno e mezzo per portarla a termine, ma più della metà del tempo è necessaria allo studio, per poter conoscere a fondo e con precisione la storia del suo Paese, per poter creare un qualcosa quanto più simile alla realtà di quanto accaduto.

La storia di per sé non è reale, tantomeno autobiografica, avendo Ermal, vissuto solo gli ultimissimi anni del periodo che racconta. Eppure, c’è tanta verità. Il protagonista è Kajan, un bambino di sette anni che vive con il nonno Betim mentre i suoi genitori sono in guerra a combattere come partigiani. Quando un soldato disertore tedesco si presenta loro per chiedere aiuto, è il piccolo a convincere il nonno, estremamente e giustamente sospettoso, a farlo rimanere. Senza saperlo, Kajan sta decidendo il suo destino: Cornelius, prima di essere soldato, è un pianista e l’incontro con questo bambino gli darà modo di “recuperare” tutto ciò che era prima di quella guerra che gli aveva tolto tutto, anche la sua stessa identità. Kajan diventerà un grandissimo musicista proprio grazie a lui, che gli porta in dono la musica. Ed è qui che si capisce che Ermal ha scelto di mettere comunque un pezzo di sé in questa storia, al punto di far vivere a Kajan (un giovane arguto e con la risposta sempre pronta proprio come lui) il suo esame di pianoforte.

Ermal Meta nel videoclip di Milano non esiste. Fonte: YouTube

Scrivendo questa storia sotto forma di romanzo, Ermal non aspira semplicemente ad esporre dei fatti storici: non gli basta raccontare quello che di fatto succedeva in quel periodo terribile, ma vuole mettere nero su bianco anche e soprattutto gli stati d’animo e gli stravolgimenti interiori provocati nelle vite di chi quegli anni li ha vissuti davvero. Ermal lo fa magistralmente, esattamente come è capace di farlo nelle canzoni. Ci trasmette molto bene la difficoltà di non potersi mostrare deboli o addolorati di fronte al potere: non si potevano mostrare le proprie emozioni, perché ogni segno di debolezza si poteva ritorcere contro. Kajan è totalmente sballottato nelle circostanze che la vita gli pone davanti e a mano a mano, forse senza neanche accorgersene, perde dei pezzi di sé. Tuttavia, chiunque sia presente nella sua vita o chiunque incontri, ha un ruolo preciso, dallo stesso Cornelius fino ad Elizabeta, con la quale imparerà l’amore. Ma ogni personaggio serve anche a farci vedere quali erano o quali potevano essere le “personalità tipiche” dell’epoca: Selie, la mamma di Kajan, simbolo di fedeltà integerrima al partito, anche quando questo significa andare contro i propri affetti, si contrappone fortemente a Besnik e Fatjon, due giovani con l’unica colpa di pensarla in maniera diversa rispetto al sistema, uno degli atteggiamenti più pericolosi per il regime:

Le idee non andavano in prigione, non sparivano dentro una camionetta militare col pretesto di una missione speciale per conto del partito, e poi dritti verso una fossa. Le idee non morivano, anzi, restavano nell’aria in modo da poter ingravidare altre menti curiose capaci di immaginare una vita migliore, un futuro diverso, altrove.

In tutto questo, la penna di Ermal si sente fortissima. La sua capacità di descrivere le contraddizioni e le complessità dell’animo umano è evidente quando ci parla di una madre disperatamente speranzosa di sapere i propri figli ancora in vita, la stessa che, quando lo saprà, cercherà di non esprimere le proprie emozioni in maniera troppo dirompente, perché non c’era spazio in quel posto per un sentimento del genere […] Non c’era spazio per la speranza. Lo stesso Kajan, poco dopo aver realizzato che forse potrà lasciarsi alle spalle la parte peggiore della sua vita, si ritrova ad essere invecchiato più durante i pochissimi giorni della tanto agognata libertà piuttosto che in una vita intera di dolori e schiaffi del destino: era invecchiato quando si era reso conto che non aveva più nessuno. Era invecchiato quando aveva capito che se fosse sparito non sarebbe venuto nessuno a cercarlo. Tuttavia, ci sarà un lieto fine anche per lui, perché la vita con una mano ti lancia nel vuoto e con l’altra ti afferra poco prima che tu cada al suolo.

Non credeva di essere in grado di assorbire tutta quella felicità. Temeva di disperderla, come ogni cosa bella che gli era capitata nella vita. Quella volta però no, quella volta sarebbe stata diversa. Quella volta non l’avrebbe persa.

In diversi momenti del racconto ho captato diverse riprese di immagini già presenti nelle sue canzoni, come quando Kajan chiede ad Elizabeta di restituirgli gli occhi che andandotene hai portato via con te, o nel momento in cui lui stesso sorrideva, ma solo con le labbra. Gli occhi non lo seguivano. Fortissimo è il momento in cui, poco dopo aver visto il Muro per la prima volta, pensa che Almeno il cielo non sono riusciti a dividerlo.

A questo proposito, mi piacerebbe concludere con le parole con cui descrive l’allontanamento di Fatjon e Besnik; forse uno dei passaggi in cui Ermal si è sentito più vicino a quanto stava raccontando. Non sanno niente, tranne che è arrivata l’ora di vivere o di morire esattamente come quel piccolo bambino che, nel 1994 ha lasciato la sua terra in cerca di un futuro migliore nel nostro Paese: Ermal ha tredici anni e non vuole morire. Della vita non sa niente tranne che la vita è importante.

Alketa Vejsiu nel suo monologo durante il Festival di Sanremo 2020 aveva detto “Grazie Italia perché ci hai dato tanto!”. A me piace sempre pensare che l’Albania ci abbia dato qualcosa (o meglio, qualcuno) di più. E la lettura di questo romanzo ne è stata l’ulteriore conferma.

Una replica a “Domani e per sempre”

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