Marconi school musical: “La compagnia dell’anello” secondo Claudio Colapinto

Gli effetti che il nostro ‘stare insieme’ ha sulla gente sono un bel caricabatterie.”

Da ormai vent’anni, i giovani studenti e studentesse della provincia di Pesaro e Urbino si riuniscono in un progetto unico: il Marconi school musical, preparandosi da inizio ottobre per arrivare fino agli spettacoli, che si tengono poco prima dell’inizio dell’estate. Si tratta di una performance nella quale confluiscono musica, danza e teatro, ma anche tanta umanità e tanti messaggi importanti. Quest’anno, dal 13 al 17 giugno, al Teatro Rossini verrà portata in scena “La compagnia dell’anello”.

Per l’occasione, ho intervistato Claudio Colapinto, uno dei vocal coach del progetto. Suona fin da quando è bambino, e la proposta di entrare a far parte del team del musical è arrivata per puro caso, quando una sera, a cena, per un fortuito scambio di posti, si è ritrovato a seduto a fianco del direttore generale, Marco de Carolis.

Mi racconti un po’ il musical di quest’anno?

«Quest’ultimo lavoro è basato sulla storia de Il signore degli anelli. In un certo senso, può essere interpretato come un racconto della sconfitta, dell’antieroe, ma anche della lealtà, del valore dell’amicizia, e soprattutto di quell’eterno discrimine molto leggero tra il bene il male: in fondo l’anello cosa simboleggia, se non il potere? Quello che, a volte, quando passa di mano in mano, può generare reazioni di grossa ingordigia, di repulsione o di lucidità. Per noi è una narrazione un po’ simbolica: in questi vent’anni di quest’esperienza inaspettata, è un po’ la metafora della storia di tutti gli studenti e le studentesse che nel corso del tempo hanno dato il loro meglio sul palcoscenico».

Fonte: pagina Facebook Marconi school musical
Solitamente prendete ispirazione da racconti già esistenti; dopodiché, però, aggiungete sempre qualcosa di più personale. In che modo vengono pensate e inserite le vostre modifiche?

«Dipende dal timbro che ogni volta vogliamo dare allo spettacolo. In alcuni di questi ultimi anni spesso abbiamo preso ispirazione da temi storici, ma poi abbiamo inserito anche spezzoni di film o di altri musical, dai quali estrapoliamo anche le canzoni per tradurle. In questo caso de Il signore degli anelli, siamo partiti da quello che cinematograficamente si vede in gran parte del primo film, La compagnia dell’anello, e siamo arrivati fino all’incoronazione del re. C’è anche però – e qua non faccio spoiler! – un tocco nostro, cento per cento Marconi school musical… vale la pena di scoprirlo!»

Da un lato ci sono le arti performative: la musica, la danza, il teatro… dall’altro, però, senza dubbio, c’è anche il desiderio di aggregare i giovani e aiutarli a esprimersi nella maniera migliore possibile. Come convivono questi due aspetti?

«Vanno di pari passo. Certamente si usano i mezzi dell’arte per raccontare storie, ma soprattutto per permettere ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze di fare un’esperienza spesso inaspettata. Quando si lavora sull’assetto delle espressività artistiche si vanno a toccare delle corde di intuito che ogni giovane mette in campo, inizialmente quasi per gioco. Per questo lavorare con i ragazzi è bellissimo: sono molto più liberi e puri di noi adulti, quindi mettono molte meno barriere. Naturalmente, ognuno porta anche il proprio vissuto di paure e di insicurezze, fa parte del gioco. Questo ha come conseguenza il fatto che anche il lavoro più tecnico sull’impostazione della voce o sulle diverse tecniche di danza, miri a mettere ogni persona nelle condizioni migliori per dare il meglio di se stessa, in vista di un obiettivo comune: raccontare storie sul palcoscenico».

In tutti questi anni, qualcuno/a tra i ragazzi e le ragazze ti ha mai rivolto una frase che ti ha colpito particolarmente?

«Tempo fa un ragazzo mi ha detto: “visto da fuori il musical è una boiata pazzesca, vissuto da dentro di cambia la vita!” Per me è il complimento più bello! È questa la bellezza che si scopre in ognuno dei giovani e che loro scoprono di se stessi: senza volerlo, incontrano una loro parte migliore, che magari non sapevano neanche di avere!»

Con qualcuno/a di loro sei ancora in contatto?
Fonte: pagina Facebook Marconi school musical

«Sì! C’è tantissima stima. Fra qualche anno arriverò al decennio di lavoro: ho già visto tante generazioni e con alcuni rimangono dei rapporti belli. Anche perché nel mio caso c’è un privilegio: io e la nostra vocal coach (Therese Henderson, ndr) lavoriamo sulla voce, che è un mistero, ma allo stesso tempo è la soglia di noi stessi. In un certo senso, quindi, si apre anche un canale di confidenza molto forte, che ci fa rendere conto che il rapporto è molto più profondo, anche a livello empatico. A volte conosciamo gli studenti e le studentesse nel momento in cui sono dei ragazzini appena adolescenti e li lasciamo come giovani uomini e giovani donne; quando arrivano in quinta superiore, la cosa più bella è aver la libertà di prepararli ad andare: aver fatto il meglio che potevamo, affinché escano da questa esperienza nella loro versione migliore, di uomini e donne di oggi e del domani».

Nel tuo lavoro con i ragazzi, quanto entra in gioco il tuo lato artistico e quanto quello umano?

«Penso che come adulti abbiamo delle responsabilità, la prima delle quali è essere noi stessi la nostra versione migliore: così come i ragazzi si mettono in gioco, anche un adulto, pur avendo l’esperienza, è altrettanto vulnerabile; questo fa sì che si tocchi il cuore dei rapporti. Nel mio caso, il lavoro musicale in senso stretto diventa proprio l’espressione dell’ideale di vita che ho scelto. La musica e la danza non sono scienze esatte, il che è interessante, perché non conta più tanto l’età o la maggiore esperienza, ma entra in gioco l’intuito: se un accordo musicale non convince chi lo canta o chi lo ascolta, c’è la libertà di fidarsi dei ragazzi e di cambiarlo. A quel punto il risultato è una sommatoria che contiene, sì, le opinioni dell’uno e dell’altro, ma va anche in un’altra dimensione, che lascia stupiti tutti. Spesso paghiamo il prezzo della fatica fisica e delle poche ore di sonno: quando entri in sala di incisione o in teatro, sai l’orario in cui entri ma non quello in cui esci! E la mattina dopo si ricomincia. Gli effetti che il nostro stare insieme ha sulla gente sono un bel caricabatterie!»

Quindi, tiriamo le somme: qual è il potere della musica?

«Il potere della musica è creare relazioni, perché la musica è una serie di relazioni, che possono diventare prima emozioni, ma poi anche sentimenti e andare molto più nel profondo di noi stessi: una nota assieme a un’altra nota non ne è mai la somma, e una terza nota con le altre due può cambiare tutto l’assetto. Questo vale anche per le persone. La musica esprime il meglio, il che significa esprimere anche il dolore, la rabbia… tutti i sentimenti del mondo! Supera tutte le barriere culturali e linguistiche e tocca i cuori delle persone, prima ancora delle menti. Nel nostro caso, il grande privilegio è che tutto questo messo sul palco con dei ragazzi giovani ha una forza enorme!

Venite e vedrete!»

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