“Abbiamo cambiato le idee
Abbiamo cambiato leader
Ma la madre e le altre donne
Non hanno niente da ridere”
“L’apparenza inganna”. È certamente un luogo comune, ma ci cadiamo spesso. A me poco più di un mese fa è successo.
Dargen d’Amico – nome vero Jacopo Matteo Luca d’Amico – è un tipo estremamente eccentrico: alterna i momenti di estrema comicità a quelli di estrema serietà, in una maniera tale che a volte non è chiaro quali siano gli uni e quali gli altri. Forse è proprio questo ciò che vuole?
L’ironia è la sua cifra principale e, nel momento in cui è salito sul palco dell’Ariston in mezzo ad altri trenta artisti con altrettanti brani, il suo uptempo sembra essere un brano dance come se ne sentono tanti negli ultimi tempi.
Eppure, Onda alta è molto di più. Non mi riferisco solo ai messaggi che ha voluto lanciare in seguito a ogni sua esibizione.
C’è qualcosa, nelle parole che usa, di rilevanza estrema.
Il titolo
La poetica di Dargen d’Amico è generalmente caratterizzata dal contrasto: a una frase che appare neutra, ne segue un’altra che dà alla precedente un significato che la stravolge completamente.
“L’importante è aver la mamma
che non lavori troppo che la vita è breve
a volte un mese”
All’affermazione, trita e ritrita, per noi quasi retorica, che ‘la vita è breve’, Dargen aggiunge che può durare anche solo ‘un mese’. E allora cambia tutto: lo scenario è quello terribile delle esistenze stroncate dalle bombe e dai lunghissimi ed estenuanti viaggi in mare.
“Sta arrivando sta arrivando l’onda alta
Stiamo fermi, non si parla e non si salta
[…]
Siamo più dei salvagenti sulla barca”
Durante la nostra infanzia, nelle giornate di mare durante le quali il vento non ci dava tregua, guardavamo “l’onda alta” crescere lentamente, pronti a saltarla insieme ai nostri amici. Magari avevamo anche il salvagente, perché non sapevamo ancora nuotare. In questo caso, però, il gommone è talmente ricolmo di vite umane che i neanche i salvagenti possono fare la differenza. L’onda alta non è un mezzo divertente col quale giocare, ma l’arma più letale.
“Sembri timido
Mi hai sorriso o no?
Sono già promesso sposo con un’altra”

Uno scenario semplice, quotidiano per tutti noi: un ragazzo sorride a una ragazza e lei, percependone l’impaccio, lo stuzzica. E invece non è così. A una distanza neanche troppo ampia da noi, una dinamica di questo tipo non ha quasi senso di esistere: lì dove i matrimonî sono combinati, l’innamoramento non ha cittadinanza. E c’è da rabbrividire, se pensiamo che
“Mamma, ti ho sognata che eri bimba
Figlia, ti ho sognata che eri incinta”
Il messaggio della canzone
“Basta un titolo a far odiare un intero popolo”
Il brano parla del tragico tema delle migrazioni e il movimento della musica richiama quello delle persone.
Il battito veloce che caratterizza l’arrangiamento del pezzo ha proprio lo scopo di rimandare alla rapidità con la quale si susseguono gli eventi. In più, la velocità rimanda al rito collettivo della danza, all’interno della quale le vite di ognuno di noi si uniscono a quelle degli altri e le paure si fondono.
“Qua abbiamo tutto ma ci manca sentimento
E non riusciamo più a volerci bene”
L’Italia è sempre stata il centro di trasferimenti di questo tipo e la diversità all’interno del nostro Paese ne è la testimonianza. È la nostra più grande ricchezza, Dargen lo sa: lui stesso, in diverse interviste, non ha parlato soltanto dello scenario estremo della guerra, ma anche di quell’infanzia da lui stesso vissuta, durante la quale, chiunque aveva necessità, poteva entrare liberamente in casa di altri a chiedere aiuto. Al giorno d’oggi abbiamo ancora più risorse a nostra disposizione.
Ma tanto più siamo ricchi di cose materiali, quanto più regrediamo dal punto di vista umano.
Noi sull’onda alta
Nell’ambito delle migrazioni, così come in guerra, a rimetterci sono sempre i più fragili e i più innocenti: primi su tutti, i bambini.
“Hey hey bambino
Questa volta hai fatto proprio un bel casino
Alla contraerea sopra un palloncino”
“Hai fatto proprio un bel casino” è una delle espressioni che chiunque di noi, da bambino, si è sentito rivolgere tantissime volte dai proprî genitori; era una frase che terrorizzava, perché anticipava una ramanzina, una strigliata, una punizione. Eppure, ci sono bimbi che quotidianamente vorrebbero tanto avere lo stesso tipo di paura:
“Per sentirti vivo
Hai solo un tentativo”

“C’è una guerra di cuscini
Ma cuscini un po’ pesanti
Se la guerra è dei bambini
La colpa è di tutti quanti”
Non sono fratelli e sorelle che fanno la lotta con i cuscini. Non hanno nemmeno rotto un vaso in salotto. Sono costretti a combattere una guerra che non appartiene loro minimamente.
La colpa è di tutti, sì. Oggi quell’empatia che ha caratterizzato l’infanzia di Dargen sembra essere sempre meno presente. È vero: le armi distruggono ed è terribile. Ma quando manca l’empatia, non si costruisce neanche.
Ognuno di noi, quindi, quando cerca di entrare in contatto con il dolore degli altri e prova a sentire come proprie anche le disgrazie che riguardano gli altri, può fare tanto


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